30 Agosto 2018 - di Valentina Tamburello
Negli ultimi anni il CSCS ha lavorato con differenti fotografi per dare un aspetto diverso alla pagine del suo rapporto di gestione annuale. Per il rapporto del 2017 il fotografo ticinese Stefano Spinelli ha realizzato 7 fotografie che sono state stampate a tutta pagina all’interno della pubblicazione, mentre il dettaglio di una foto è stato scelto persino come copertina del report.
Abbiamo quindi intervistato Stefano Spinelli, appassionato di fotografia sin dall’adolescenza, per scoprirne di più. Nel suo sito afferma che la cosa che più lo affascina della fotografia è la sua malleabilità nel riprodurre la realtà.
Se la maggior parte dei fotografi si concentra sui paesaggi o sulle persone, mettendo in mostra nei loro ritratti anche le emozioni più nascoste, Stefano, invece, ama andare oltre. Nella sua serie Transcriptions, dove sono visibili anche le fotografie effettuate nella sala macchine del CSCS (ognuna abbinata a un libro) ha, ad esempio, affrontato il tema della tecnologia, oggigiorno sempre più presente nelle nostre vite.
Cosa lo ha spinto a diventare fotografo?
La passione per la fotografia mi è nata durante l'adolescenza, quando nel corso di alcuni viaggi ebbi l'occasione di utilizzare delle Kodak instamatic, dei piccoli e semplicissimi apparecchi fotografici in voga negli anni '70. Ma forse sono state le prime esperienze in camera oscura ad avermi del tutto conquistato all'arte fotografica.
Andato a Firenze per intraprendere degli studi in filosofia, dopo un anno decisi di abbandonarli per dedicarmi interamente alla fotografia, sentendo questa scelta come la più giusta e consona nei confronti della mia natura.
Va detto che sono nato in una famiglia con vari talenti artistici, e sicuramente anche questo fattore ha avuto un peso non indifferente nella scelta che ho poi fatto.
Quasi da subito della fotografia mi ha intrigato la sua duttilità, la possibilità d'intervenire sulle immagini, in fase di creazione come pure, come si direbbe oggi, in postproduzione. Ai tempi della pellicola – che al momento ho del tutto abbandonato – ho passato sicuramente anni interi lavorando in camera oscura, così come oggi, col passaggio al digitale, non indifferente è la parte di tempo che dedico alla lavorazione delle immagini di certe mie serie, in cui l'intervento è parte sostanziale del discorso che vi sviluppo, e non mero giochetto estetico.
Quali sono i suoi soggetti preferiti?
Più che dai soggetti classici della fotografia, mi piace partire da idee che poi sviluppo in serie d'immagini che possono durare anche diversi anni. Nella realizzazione di queste serie spesso adotto tecniche che stanno un po' ai margini della fotografia intesa nel senso più tradizionale. Ho ad esempio lavorato parecchio tempo quasi esclusivamente con delle macchinette panoramiche usa e getta, dotate di lenti in plastica e limiti tecnici notevoli… Amavo la particolare qualità delle immagini che producevano, una qualità direi sensuale e capace di evidenziare certe caratteristiche materiali costitutive del linguaggio fotografico. La serie in questione – intitolata Transizioni – si può esaminare visitando il mio sito.
Fotomontaggi, collage, doppie esposizioni sono stati fin dagli inizi strumenti del mio agire artistico. Oggi, col digitale, opero soprattutto in postproduzione, sovrapponendo, sottraendo, ritagliando, come ad esempio nella serie Il viaggio dell'artista in un mondo virtuale o in quella intitolata Transcriptions – di cui parlerò più dettagliatamente più avanti –, entrambe visionabili nel mio sito. Al centro di tutte queste serie, oltre ad una riflessione sulla fotografia, intesa come linguaggio, vi è senz'altro l'Uomo preso in sue varie dimensioni. Ciò per quanto concerne il mio lavoro personale.
Nell'ambito professionale prediligo la riproduzione d'arte, il ritratto, specie dal vivo e, anche se da me poco praticata, la fotografia d'architettura. Inoltre, da diversi anni, con molta soddisfazione realizzo professionalmente stampe fine art.
Cosa lo ha motivato a fare delle foto al CSCS?
Volevo fare un lavoro sul nostro mondo sempre più tecnologico e virtuale, sempre più governato dalle macchine, e avendo saputo della possibilità di visitare il CSCS, non ho perso un attimo ad iscrivermi. Pur intuendolo vagamente, non sapevo a cosa andavo incontro. Quel che ho trovato ha ampiamente soddisfatto la mia iniziale curiosità dandomi nel contempo modo di realizzare la serie progettata. Il CSCS riassume in maniera assai efficace, figurativamente e concettualmente, quello sviluppo tecnologico che a partire da pochi decenni fa ha investito il mondo e l'umanità, e che oggi continua con forza crescente.
La sua tecnica è molto particolare. Può dirci qualcosa di più al riguardo?
Con la serie Transcriptions – di cui le foto realizzate al CSCS fanno parte – coniugo la parola all'immagine. Le immagini di questa serie sono letteralmente composte da testi, testi scritti con caratteri molto piccoli e ravvicinati. Negli spazi tra le lettere non vi è immagine ma solo un colore di fondo. Il ragionamento alla base di questo procedere è che la nostra possibilità di intendere ed entrare in rapporto con la realtà passa attraverso la parola, i concetti.
È grazie a questi che riusciamo a prestare una forma, una coerenza e una continuità ad un mondo che ci sarebbe altrimenti del tutto inagibile. Con l'inevitabile conseguenza che la realtà che percepiamo sarà configurata sulla base delle nostre costruzioni mentali e culturali. E sarà dunque irrimediabilmente arbitraria. Partendo da questi presupposti, l'affermazione "Dove c'è immagine, c'è testo" diviene il filo conduttore delle Transcriptions.
I testi che utilizzo (quasi sempre nella loro interezza) sono opere saggistiche o letterarie in diretto rapporto con le varie tematiche che affronto all'interno di questa serie. Per le immagini del CSCS (il cui gruppo è intitolato The Medium Is the Message) i testi utilizzati – eccetto due di McLuhan – sono tutti di fantascienza, oltre a brevi testi contemporanei relativi agli usi ed abusi della tecnologia informatica. Questi libri di fantascienza, ciascuno a modo suo, ci parlano di, o meglio, ci prefigurano – possibili – società distopiche, dalle quali la nostra sembra aver già raccolto e integrato molteplici aspetti.
Penso che l'arte, oltre ad assolvere una anche plausibile funzione consolatoria, non possa prescindere dal chinarsi con attenzione critica sulle realtà che viviamo, rendendosi utile nel sollecitare nel suo pubblico riflessioni che vadano oltre i discorsi omologati con cui viene normalmente formata e nutrita l'opinione pubblica. Spero con il mio lavoro artistico di riuscire almeno in parte in questo compito.
Stefano Spinelli è artista e fotografo. Nato e cresciuto in Ticino, dopo gli studi secondari ha vissuto dapprima a Firenze – dove si è diplomato in fotografia alla scuola d'arte Fortman Studios –, poi a San Francisco, a Ginevra – dove ha conseguito una laurea e un diploma in Sociologia – e infine a Gerusalemme. Dal 2001 è tornato a vivere in Ticino, a Ponte Tresa, dove ha il suo studio fotografico. Gran divoratore di libri, amante e praticante la musica, è anche particolarmente appassionato di cinema.
Se siete interessati alle sue opere, potete partecipare alla prossima edizione di WOPART, la fiera di arte su carta che si tiene al Conza dal 21 al 23 settembre 2018. In quell'occasione Visarte organizza un'asta a cui parteciperanno tre delle immagini della serie Transcriptions.